Cessione di opere d’arte e reddito d’impresa

30 Gennaio 2024

ABSTRACT

Le cessioni di opere d’arte da parte di un collezionista, nel caso di attività svolta nel tempo e in forma non occasionale, costituiscono reddito d’impresa.

IL CASO

La questione decisa dalla Cassazione con l’ordinanza n. 1603 del 16 gennaio 2024 attiene a due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate con riferimento all’attività di commercio di opere d'arte che era stata ricondotta nell’ambito del reddito d’impresa.

Secondo il contribuente, invece, la sua attività non poteva essere ricondotta a quella di impresa, in quanto non aveva svolto alcuna operazione di intermediazione tra produttore e consumatore e, inoltre, difettava l’autonoma organizzazione di mezzi per svolgere la suddetta attività.

La ricostruzione del contribuente però non ha incontrato il favore dei Giudici di legittimità.

LA DECISIONE

In esordio, la Cassazione ha precisato che la legislazione fiscale e quella civilistica non sono coincidenti: l’art. 2082, cod. civ., considera imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale, mentre l'art. 55 TUIR non richiede il requisito dell’organizzazione, ma il mero esercizio professionale e abituale delle attività di cui all'art. 2195 cod. civ., anche se non svolte in modo esclusivo; invero, secondo la giurisprudenza della Corte, anche sulla base della normativa e della giurisprudenza unionale in materia di iva, la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergono per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell’”organizzazione”, essendo tale requisito indispensabile per il diritto civile ma non indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la professionalità abituale dell’attività economica, anche senza l’esclusività della stessa. È stato in più occasioni ribadito che l’art. 55 del TUIR intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195, cod. civ., anche se non organizzate in forma d’impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo che costituisce, invece, elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale ancorché non esclusiva (Cass. civ., 16 dicembre 2022, n. 36992; Cass. civ., 20 dicembre 2006, n. 27211).

Calando tali principi nello specifico ambito delle attività inerenti la vendita di opere d’arte, la Cassazione sottolinea la seguente differenziazione: è da qualificarsi come mercante di opere d’arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere; è speculatore occasionale chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile; è mero collezionista, infine, chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l' intento di rivenderla generando una plusvalenza, avendo interesse non tanto per il valore economico della res quanto per quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all'arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre.

Il discrimine su cui fondare la diversa qualificazione è stato individuato dai Giudici nel requisito dell’abitualità, di cui all'art. 55 TUIR in tema di reddito d’impresa, sicché si è rinvenuta l’esistenza di un’attività commerciale in ragione di elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa: numero delle transazioni effettuate, importi elevati, quantitativo di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti, varietà della tipologia di beni alienati, non assumendo rilievo, ai fini impositivi, il fatto che il profitto conseguito sia stato capitalizzato in beni e non in denaro, in quanto porta sempre intrinsecamente un arricchimento del patrimonio personale del soggetto (Cass. 31 marzo 2008, n. 8196).

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