Riforma fiscale: nuove regole per la residenza delle persone fisiche.

19 Ottobre 2023

E’ stato diffusa nella serata di ieri, lunedì 16 ottobre 2023, la bozza del decreto di riforma della fiscalità internazionale. Nel seguito, con riserva di ulteriori approfondimenti, si svolgono alcune osservazioni preliminari al riguardo.

In base alla bozza citata, il comma 2 dell’articolo 2 del Testo Unico delle Imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917 è sostituito dal seguente: “2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.”.

La norma in esame modifica sotto alcuni aspetti i criteri indicati dal legislatore per incardinare in Italia la residenza delle persone fisiche. Per facilitare il confronto, si rammenta che la disciplina attuale prevede quanto segue: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.” Come noto, in base al codice civile, la residenza, in base al codice civile, è il luogo di dimora abituale e cioè il luogo di dimora eletto dal soggetto ove, a prescindere dalla presenza fisica, questi fa ritorno, anche nelle ipotesi in cui si allontani per impegni personali o di lavoro. Il domicilio è la sede principale dei propri affari e interessi.

Come si può vedere, in base al confronto tra i due testi, le modifiche di maggior rilievo contenute nella bozza di decreto attengono ai seguenti profili:

  1. Espressa attribuzione di rilevanza alle “frazioni di giorno” nello stabilire se il contribuente è residente in Italia per la maggior parte del periodo di imposta;
  2. L’introduzione, quale criterio di collegamento, della mera presenza nel territorio dello Stato (la norma considera residenti nel territorio dello Stato coloro che, per la maggior parte del periodo di imposta “sono ivi presenti”);
  3. La definizione di domicilio quale luogo ove sono incardinate le “relazioni personali e familiari della persona”;
  4. L’eliminazione del criterio di collegamento rappresentato dall’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo di imposta; tale criterio non perde tuttavia totalmente di rilevanza: rileva quale elemento per presumere la residenza in Italia, ferma restando la facoltà di prova contraria del contribuente.

Rilevanza delle “frazioni di giorno”

La modifica in esame prevede in estrema sintesi che nel valutare se un soggetto è residente in Italia per la maggior parte del periodo di imposta, occorre attribuire rilievo anche alle frazioni di giorno in cui questi è residente in Italia. La questione assume rilievo specialmente nei casi di soggetti con elevata mobilità che trascorrono nell’anno, frequentemente, brevissimi periodi in Italia. Tale criterio è suscettibile di trovare frequente applicazione nei rapporti con gli Stati confinanti con l’Italia, quali Francia, Svizzera, Austria. Frequentemente, infatti, accade che i soggetti di tali Stati si rechino in Italia per brevi periodi.

Presenza nel territorio dello Stato

Attualmente, l’art. 2 TUIR prevede, ai fini della residenza in Italia, la sussistenza in Italia, per la maggior parte del periodo di imposta di almeno uno dei seguenti elementi: residenza, domicilio, iscrizione all’anagrafe della popolazione residente.

La bozza del decreto prevede la rilevanza anche della mera presenza nel territorio dello Stato.

Il criterio in questione è inedito e suscita più di una perplessità.

In primo luogo, a quanto ci risulta, esso non è conforme ai principi adottati in ambito OCSE ed alla prassi internazionale. Come tale, la norma in esame potrebbe contrastare anche con i principi adottati nella legge delega, la quale, come noto, prevede la tendenziale uniformazione tra i criteri di residenza dettati dalla disciplina nazionale e le disposizioni internazionali.

In secondo luogo, il criterio in esame potrebbe determinare alcune difficoltà di collegamento con il contenuto dei trattati stipulati dall’Italia. In particolare, esso rischia di determinare l’inapplicabilità della tie breaker rule contenuta nella maggior parte di essi.

Infatti, tale tier breaker rule (sulla quale si tornerà in seguito) trova applicazione solo con riferimento ai soggetti residenti in entrambi gli Stati in base al domicilio, alla residenza e “ad ogni altro criterio di natura analoga”.

Ci si potrebbe domandare se il criterio della presenza, non coincidendo propriamente con il domicilio e la residenza, possa essere considerato quantomeno, un “criterio di natura analoga”.

In caso negativo, i conflitti di residenza dallo stesso creati non troverebbero soluzione nelle convenzioni contro le doppie imposizioni.

Anche, peraltro, laddove la risposta a tale quesito avesse risposta positiva, in ogni caso, l’applicazione del criterio della presenza dovrebbe avere rilevanza pratica limitata. Ciò in quanto nella maggioranza dei casi, l’applicazione dello stesso determinerà un conflitto di residenza. In base alle cd. “Tie breaker rules” i criteri applicabili per risolvere tali conflitto di residenza sono, nell’ordine: 1) la abitazione permanente; 2) il luogo nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali); 3) se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non dispone di un’abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente; 4) nazionalità; 5) accordo tra i due Stati.

La presenza nel territorio dello Stato è al limite assimilabile al criterio del soggiorno abituale (sul punto sarebbero opportuni dei chiarimenti). Il criterio della “presenza” nel territorio dello Stato rileverà dunque nei casi (invero piuttosto rari) in cui non sia possibile determinare la residenza o il domicilio e sulla base di essi risolvere i conflitti di doppia residenza.

Nel complesso, sarebbero forse opportune maggiori riflessioni in merito all’introduzione di tale nuovo criterio di attrazione della residenza in Italia.

Definizione di domicilio quale luogo ove sono incardinate le “relazioni personali e familiari della persona”

Attualmente il domicilio, quale criterio di collegamento, assume rilievo nella definizione fornita dal codice civile. In base a tale definizione, esso è il centro degli affari e interessi della persona: al riguardo assumono rilievo sia gli interessi familiari che economici. Nel caso in cui gli interessi rispettivamente familiari ed economici siano situati in due Stati diversi si pone il problema di stabilire a quale tipologia di interessi attribuire maggiore rilevanza, ai fini della soluzione dei conflitti di doppia residenza. Senza entrare nel dettaglio, il commentario OCSE sembra attribuire una lieve preferenza per gli interessi personali (Cfr. par. 15, Commentario all’art. 4 del Modello di Convenzione OCSE:  “It is nevertheless obvious that considerations based on the personal acts of the individual must receive special attention”. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è invece ondivaga sul punto.

La bozza di decreto prevede che, ai fini fiscali, il domicilio sia definito solo in base agli interessi personali. In tal modo, la nozione interna di domicilio viene uniformata a quella apparentemente suggerita in ambito OCSE.

Interessanti sono gli effetti pratici determinati da tale soluzione.

Si ipotizzi il caso di un cittadino italiano che lavora all’estero pur mantenendo la famiglia in Italia. In tale ipotesi, il criterio in esame dovrebbe determinare l’attrazione della residenza in Italia. Anche laddove si verifichi un fenomeno di doppia imposizione e quale tie breaker rule venisse applicato il domicilio, in base ai criteri elaborati in ambito OCSE, questo dovrebbe coincidere con l’Italia (stante la prevalenza degli interessi personali anche in base al Commentario OCSE). Ciò ovviamente a condizione che l’Italia applichi la nuova nozione interna di domicilio proposta anche ai fini dell’interpretazione della nozione convenzionale di domicilio.

Si immagini al contrario il caso di un soggetto estero che viene a lavorare in Italia pur mantenendo la famiglia all’estero. Questi torna ogni fine settimana dalla propria famiglia. In Italia, tuttavia, è localizzato il proprio luogo di lavoro, dispone di un appartamento, la maggior parte dei propri redditi proviene dall’Italia. Attualmente, sarebbe difficile escludere del tutto la possibilità che l’Agenzia delle Entrate ritenga localizzata in Italia la residenza del soggetto in questione. La modifica proposta dovrebbe escludere tale eventualità. In tal modo, il conflitto di residenza dovrebbe essere risolto ab origine senza necessità di applicare le cd. “Tie breker rules”.

Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente quale presunzione suscettibile di prova contraria

Attualmente, l’iscrizione all’anagrafe delle popolazione residente è uno dei criteri in base ai quali è possibile attrarre in Italia la residenza di una persona fisica. Ciò anche a prescindere dalla residenza civilistica o dal domicilio.

Si tratta di una soluzione che ha generato molte critiche: si tratterebbe di un criterio di natura meramente formale che determina l’attrazione a tassazione in Italia, con riferimento ai redditi wordwide del contribuente, a prescindere da qualsiasi collegamento con il territorio dello Stato. Si pensi ad esempio ai casi in cui un soggetto si trasferisce effettivamente all’estero, per , dimenticando tuttavia di disiscriversi dall’anagrafe dei residenti.

Invero tali distorsioni dovrebbero essere relativamente rare nella pratica.

Anche in base al vigente testo, infatti, l’attrazione della residenza in Italia in base all’iscrizione all’anagrafe determinerà un fenomeno di doppia imposizione. Tale fenomeno, nella quasi totalità dei casi, sarà risolto in base alle cd. “Tie breaker rules” della convenzione contro la doppia imposizione vigente. Le suddette “tie breaker rules” non contemplano l’iscrizione all’anagrafe quale criterio di collegamento. Ciò significa che nella maggior parte dei casi, il criterio dell’iscrizione all’anagrafe dovrà considerarsi recessivo rispetto al domicilio, alla dimora abituale, all’abitazione permanente.

Questa prevalenza dei criteri convenzionali già permette dunque, nella maggior parte dei casi di superare le problematiche legate l’iscrizione all’anagrafe.

La conclusione sopra esposta è stata recentemente condivisa anche dall’Agenzia delle Entrate (cfr., anche recentemente, Circolare 18 agosto 2023, n 25/E).

In passato tuttavia erano sorti dei contenziosi al riguardo.

La proposta di modifica in esame ha il pregio di adottare un interpretazione maggiormente conforme al contenuto dei trattati, attribuendo rilevanza cogente all’interpretazione recentemente assunta dall’Agenzia delle Entrate.

Sarebbe peraltro opportuno un chiarimento in merito all’effetto di tale eventuale modifica sui contenziosi attualmente in essere scaturiti da contestazioni fondate sull’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate precedente a quella contenuta nella Circolare 25/2023.

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