"Additional amount": qualificato come reddito di capitale

28 Settembre 2023

L’Agenzia delle Entrate, nella risposta 420/2023 esamina il regime fiscale applicabile ai cosiddetti interessi da equalizzazione (additional amount), che vengono corrisposti al fondo dai “nuovi investitori” e distribuiti dal fondo stesso agli “investitori precedenti”.

Infatti, il regolamento o l’atto istitutivo degli organismi di investimento collettivo di tipo chiuso prevededono frequentemente che, durante il periodo di sottoscrizione, l’adesione dei partecipanti possa avvenire in più fasi.

In tal caso, al fine di garantire parità di trattamento fra nuovi investitori e investitori iniziali, il regolamento prevede anche che i nuovi entrati debbano versare un importo addizionale. Tale importo svolge la funzione di sostanziale remunerazione degli investitori originari per l’impiego del capitale per un tempo maggiore.

 Tale importo viene distribuito agli investitori precedenti, in proporzione alla quota di ciascuno. Le quote degli investitori originari non subiscono riduzioni.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, tale importo è assimilabile ad un provento distribuito dal fondo, tassabile nell’ambito dell’articolo 44, comma 1, lettera g) del Tuir.

Di conseguenza il gestore del fondo italiano, o il soggetto che interviene nella riscossione del provento, applica la ritenuta prevista dall’articolo 26-quinquies del Dpr 600/1973 nei confronti degli investitori italiani e di quelli esteri non “white list”.

Se il fondo, come nel caso della risposta dell’Agenzia, è istituito all’estero, la tassazione opera solo nei confronti degli investitori italiani (articolo 10-ter, L. 77/1983; circolare 19/2013).

Non sono stati forniti chiarimenti in merito agli effetti fiscali in capo al soggetto che ha versato l’importo in questione. Ragionevolmente, come evidenziato in dottrina, l’importo dovrebbe aumentare il costo della partecipazione.

Per completezza, la soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate è stata criticata da parte della dottrina la quale ha ritiene che, almeno in determinati casi, la somma in questione non dovrebbe assumere rilevanza reddituale in quanto qualificabile come “interesse compensativo”. Trattasi in estrema sintesi degli interessi corrisposti ad un soggetto per ristorarlo del mancato godimento dei frutti civili. Essi reintegrerebbero una perdita patrimoniale e, come tali, non assumerebbero rilievo ai fini delle imposte sul reddito. Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate, “[l]a ratio degli interessi compensativi è, infatti, quella di non privare il contraente che abbia adempiuto la propria prestazione, avente ad oggetto beni fruttiferi, dei frutti che gli stessi producono, attribuendo in tal modo un ingiustificato vantaggio all’altra parte” (Cfr. Circolare 24/1979).

La non rilevanza reddituale degli interessi compensativi è stata confermata dalla relazione illustrativa al D.lgs. n. 461/1997 nella quale viene precisato come gli interessi in questione non siano riconducibili ad alcuna categoria di reddito di capitale, nemmeno all’ipotesi di chiusura di cui all’art. 44, c. 1, lett. H). In particolare, “venendo alla norma di definizione e di chiusura di cui alla lettera h), si è utilizzata l’espressione “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale”, per sottolineare, dal punto di vista economico, che il reddito di capitale si caratterizza come tipica fattispecie di reddito prodotto (a differenza del reddito diverso – guadagno di capitale espressione economica di un reddito entrata) e, dal punto di vista giuridico, che per la produzione di un reddito (frutto economico del capitale) è necessaria l’esistenza di un atto (negozio od altro rapporto) di impiego del capitale. Tale definizione è apparsa già sufficientemente chiara per escludere dalla categoria in esame tutte quelle somme che non siano frutto di un atto di impiego del capitale, quali, in particolare, i cosiddetti interessi compensativi dovuti a titolo di mera reintegrazione di una posizione di perdita patrimoniale. Si è ritenuto, pertanto, non necessario ripetere l’esclusione degli interessi compensativi, presente nell’attuale art. 41”.

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