Fondo patrimoniale: i limiti al potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria

21 Settembre 2023

Da sempre dibattuta è la questione relativa al rapporto tra fondo patrimoniale e potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate. Anche recentemente la dottrina si è interrogata su quali sono i limiti entro cui l’Amministrazione finanziaria può aggredire i beni conferiti nel fondo per soddisfare i crediti tributari. Particolarmente controverso è al riguardo il concetto di “beni vincolati ai bisogni della famiglia” funzionale a comprendere “se e quando” le obbligazioni tributarie possono considerarsi inerenti al soddisfacimento dei bisogni familiari.

Il fondo patrimoniale, di cui all’art. 167 cod. civ., è lo strumento mediante il quale i coniugi, ciascuno o entrambi ovvero un terzo, destinano determinati beni, mobili o immobili, alla realizzazione dei bisogni della famiglia.

Tali beni, pertanto, escono dalla sfera giuridico-patrimoniale dei conferenti per confluire nel fondo patrimoniale, con la conseguenza che i beni che costituiscono il fondo andranno a costituire un patrimonio separato e potranno eventualmente essere aggrediti soltanto dai creditori del fondo medesimo e non anche dai creditori personali dei conferenti. In altri termini, le azioni sui beni conferiti possono essere esperite esclusivamente qualora l’obbligazione per cui si procede sia stata contratta “per far fronte ai bisogni della famiglia”. Ciò, salvo che il fondo patrimoniale sia stato costituito in frode ai creditori, con lo scopo di sottrarre il proprio patrimonio alle legittime azioni di recupero degli stessi in violazione all’art. 2740 c.c. tra cui rientra anche l’Amministrazione finanziaria.

In ambito tributario, il dibattito verte su quale sia il limite entro cui l’Agenzia possa esercitare azioni cautelari ed espropriative sui beni destinati al soddisfacimento dei bisogni familiari rispetto ai debiti tributari che sono sorti nell’esercizio di un’attività d’impresa ovvero al di fuori dell’ambito professionale ed imprenditoriale.

Un primo orientamento giurisprudenziale, ritiene che l’Agenzia delle Entrate possa, in via di principio, aggredire indistintamente i beni conferiti nel fondo patrimoniale dal momento che i debiti tributari sono debiti inerenti ai bisogni familiari. Tale affermazione riposa sull’assunto per cui il nucleo familiare beneficia sia dei risultati positivi dell’attività imprenditoriale, sia – eventualmente – della liquidità sottratta dall’imprenditore al pagamento dei debiti tributari.

Di contro, secondo un diverso indirizzo, bisogna verificare caso per caso se quel debito è connesso con i bisogni familiari o meno, anche avendo riguardo ai presupposti impositivi di ciascun debito tributario.

In tal senso, le obbligazioni tributarie dipendenti dallo svolgimento di un’attività produttiva di reddito, non possono considerarsi sic et simpliciter come debiti inerenti, in via diretta ed immediata, alla famiglia. Occorrerebbe invece analizzare ogni singola fattispecie impositiva onde poter ricavare, in caso di positivo riscontro, l’esistenza di un rapporto di connessione, certo ed evidente, tra la prestazione tributaria e il bene conferito nel fondo patrimoniale. Al riguardo, in dottrina, si è fatto ad esempio riferimento alla TARI dovuta sull’immobile conferito nel fondo ed abitato dal nucleo familiare. In questo caso, non ci sarebbe dubbio che il debito tributario sia stato contratto per far fronte ai bisogni della famiglia.

Diversamente, un collegamento con i bisogni familiari non è immediatamente riscontrabile qualora il presupposto impositivo da cui originano i debiti tributari riguardi ex sé l’esercizio dell’attività d’impresa. In tal caso, l’Amministrazione finanziaria per la soddisfazione di tali crediti potrà aggredire soltanto avverso il patrimonio “personale” dell’imprenditore ma non potrà attingere ai beni destinati.

Ciò, naturalmente, salvo che vi sia il fondato “sospetto” che il fondo patrimoniale sia stato costituito proprio al fine di sottrarre il patrimonio alle legittime azioni di recupero dell’erario. In tal caso, anche se i debiti erariali non siano stati contratti per i bisogni della famiglia, l’Agenzia delle Entrate avrebbe diritto per esperire l’eventuale azione revocatoria ex art. 2901 cod. Civ..

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