La prova della qualità di “erede” incombe sull’Amministrazione finanziaria che pretenda dal chiamato all’eredità il pagamento dei tributi del de cuius

25 Ottobre 2022

ABSTRACT

L'accettazione dell’eredità deve desumersi da condotte espresse, tra le quali non rientra la presentazione della dichiarazione di successione ad opera dei chiamati all’eredità. Al fine di realizzare la propria pretesa impositiva l’Amministrazione finanziaria ha sempre la possibilità di chiedere al giudice la fissazione di un termine entro cui l’eredità deve essere accettata; così come può chiedere giudizialmente, medio tempore, anche la nomina di un curatore dell’eredità giacente.

IL CASO

La questione decisa dalla Cassazione con l’ordinanza n. 30761, depositata il 19 ottobre 2022, concerne la notifica di un avviso di accertamento per omesso pagamento della tassa automobilistica relativa all’anno 2009 a due contribuenti, nella rispettiva qualità di coniuge e figlio del de cuius intestatario dell’autovettura.
La controversia instaurata per l’impugnazione dell’atto di accertamento conosceva sorti alterne nel corso dei due gradi di merito, vedendo vittoriosi i contribuenti in primo grado e l’Agenzia delle Entrate appellante all’esito del secondo grado.
La Suprema Corte, richiamando altre sue pronunce in termini, ha confermato il ricorso originario dei contribuenti.

LA PRONUNCIA

I contribuenti denunciavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., relativi alle presunzioni nel rito civile, per avere i giudici di secondo grado ritenuto sulla base dei fatti noti risultanti dalla dichiarazione di successione – ovvero la qualità di “coniuge” e “figlio” del de cuius intestatario dell’auto e l’indicazione degli stessi come suoi eredi – desunto, in via presuntiva, il fatto ignoto dell’assunzione da parte degli stessi della qualità di eredi del de cuius, nonostante la disciplina relativa alle obbligazioni tributarie preveda l’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria di dimostrare l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato al fine di esigere dal medesimo l’adempimento dell’obbligazione tributaria, il cui presupposto è stato realizzato dal dante causa.
La Cassazione ha accolto il ricorso dei contribuenti perché – com’è pacifico (Cass. n. 13639/2018 e Cass. n. 8053/2017) – la delazione, ovvero la chiamata all’eredità susseguente all’apertura della successione, rappresenta un mero presupposto dell’assunzione della qualità di erede, ma non è sufficiente di per sé sola a fare assumere al chiamato tale qualità giacché la legge non prevede alcuna presunzione in tal senso; così come la qualità di erede può conseguire neppure dalla presentazione della dichiarazione di successione, che ha valore di atto di natura meramente fiscale.
Ciò premesso, spettava all’Ufficio accertatore l’onere di provare – in ossequio al fondamentale principio secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” ai sensi dell’art. 2697 c.c. – l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede che può conseguire unicamente dall’accettazione espressa (“aditio”) o tacita (“pro herede gestio”) dell’eredità, oppure dalla ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c. (“chiamato all’eredità che sia nel possesso dei beni ereditari”).
Solo la predetta accettazione, infatti, rappresenta l’elemento costitutivo del diritto azionato in giudizio dal creditore nei confronti del successore del de cuius.
E ciò vale anche in materia tributaria, onde può pacificamente affermarsi (si veda la già citata Cass. n. 8053/2017) che l’assunzione delle obbligazioni tributarie proprie del de cuius richiede il possesso della qualità di erede, e non di mero “chiamato”, che consegue unicamente all’ accettazione dell’eredità.
Con l’ulteriore corollario che, nel caso in cui il chiamato decida di esercitare il diritto alla rinuncia dell’eredità, sarà sempre onere della parte pubblica, che invoca la qualità di erede-successore nell’obbligazione tributaria, provare l’insussistenza dei relativi presupposti legittimanti la rinuncia e la decadenza dal medesimo diritto.
D’altra parte, specifica il Collegio, l’Amministrazione finanziaria, nel caso di uno stato protratto di delazione ereditaria, possiede diversi strumenti a tutela del credito vantato, ad esempio: il potere di ricorrere al giudice al fine di far fissare un termine per l’accettazione, ovvero di far nominare un curatore dell’eredità giacente.

CONCLUSIONI

La decisione in commento è conforme ad altre pronunce della medesima Suprema Corte secondo cui l’onere probatorio grava in capo a chi afferma la qualità di erede attribuendola alla controparte e consiste nel provare, positivamente, l’aver questa assunto la qualità di erede per effetto dell’accettazione, espressa o tacita, dell’eredità. Sono errate in punto di ripartizione dell’onere probatorio, pertanto, tutte quelle pronunce di merito che attribuiscono ai chiamati all’eredità l’onere di dar prova, peraltro negativa, della mancata assunzione della veste di eredi (Cass. n. 24341/2022).

In definitiva, solo dopo la positiva dimostrazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’assunzione della qualità di erede, per effetto di accettazione espressa o tacita dell’eredità, oppure dell’invalidità della sua rinuncia, può ritenersi che il soggetto nei cui confronti è azionata la pretesa fiscale sia onerato del pagamento dei tributi dovuti dal dante causa a titolo successorio.

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