Regime Impatriati: analisi delle recenti aperture dell’Agenzia in tema di smart working e rapporto di lavoro con datori esteri

10 Febbraio 2022

Tra i regimi agevolativi previsti dal nostro ordinamento per le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia, il c.d. “regime speciale per lavoratori impatriati” (nel prosieguo, “Regime Impatriati”), disciplinato dall’art. 16 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, e s.m.i., è sicuramente uno dei più attrattivi, dato l’attuale contesto economico e sociale.

A dimostrazione del sempre maggiore interesse che il Regime Impatriati sta suscitando nei confronti dei contribuenti e degli operatori, vi è infatti da rilevare un notevole incremento, negli ultimi mesi del 2021 e nei primi mesi del 2022, delle istanze di interpello formulate, nonché delle risposte pubblicate sul proprio sito dall’Agenzia delle entrate (“Agenzia”). Invero, solo nel mese di gennaio 2022 sono state pubblicate ben tre risposte a interpello aventi a oggetto chiarimenti dell’Agenzia sulle modalità di fruizione del regime agevolativo in commento.

Il Regime Impatriati è un regime di tassazione agevolata temporaneo che prevede la parziale detassazione, ai fini IRPEF, di taluni redditi prodotti da lavoratori che trasferiscono in Italia la propria residenza fiscale e si impegnano a mantenerla per almeno due periodi d’imposta. L’originaria disciplina agevolativa ha subìto alcune modifiche a opera dell’art. 5 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, finalizzate a rendere il regime più appetibile, ampliandone l’ambito applicativo. Dette modifiche trovavano applicazione, però, limitatamente ai soggetti che trasferivano in Italia la propria residenza fiscale a partire dal periodo d’imposta 2020.

Si era così creata un’evidente disparità di trattamento tra i soggetti che hanno trasferito la loro residenza fiscale a partire dal 2020 e coloro che l’hanno trasferita a decorrere dal 30 aprile 2019, giorno di entrata in vigore del summenzionato D.L. n. 34/2019.

L’art. 13-ter del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, ha posto rimedio a tale disparità, disponendo che le modifiche introdotte dall’art. 5 del D.L. n. 34/2019 trovassero applicazione anche a coloro che hanno trasferito in Italia la loro residenza fiscale a partire dal 30 aprile 2019. Infine, l’art. 1, c. 50, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (“Legge di Bilancio 2021”) ha inserito, all’interno dell’art. 5 del D.L. n. 34/2019, i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, allo scopo di estendere, a determinate condizioni, la possibilità di prorogare il termine di durata del Regime Impatriati anche ai soggetti rientrati in Italia prima del 30 aprile 2019.

Dal momento che, come detto, tale regime agevolativo ha subìto nel corso degli ultimi anni varie modifiche, l’Agenzia è spesso intervenuta per chiarire la propria posizione interpretativa su alcuni punti controversi della disciplina. I due documenti di prassi più rilevanti in tal senso sono la Circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 e la Circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020. Quest’ultima, in particolare, fornisce i chiarimenti interpretativi dell’Agenzia all’esito delle modifiche normative sopra richiamate.

Tra i temi più dibattuti e maggiormente affrontati dalla dottrina e nella prassi dell’Agenzia rientrano quelli relativi alla possibilità di fruire del Regime Impatriati i) per i soggetti che si trasferiscono da un Paese estero in Italia per ivi svolgere attività lavorativa in regime di smart working a favore di un datore di lavoro estero e ii) per i soggetti che rientrano in Italia dopo un periodo di distacco all’estero in una situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa assunta in Italia.

In proposito, occorre preliminarmente ricordare che la ratio del Regime Impatriati è attirare risorse umane in Italia al fine di favorire lo sviluppo economico del Paese e, nello specifico, l’internazionalizzazione delle imprese che operano in esso (cfr. Camera dei Deputati, Servizio Studi, Misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese, Schema di D.Lgs. n. 161-bis, n. 165/1, 28 luglio 2015, p. 22). Posta in questi termini la finalità di tale regime, si dovrebbe dunque dedurre che il contribuente che trasferisce la propria residenza fiscale in Italia dall’estero, per poter fruire dell’agevolazione de qua, debba effettivamente integrarsi nel tessuto economico e sociale del nostro Paese.

A tale riguardo, si osserva che in un primo momento la posizione dell’Agenzia circa i requisiti per poter fruire dell’agevolazione è apparsa particolarmente restrittiva. Infatti, nella Circolare n. 17/E del 2017 si è chiarito, per esempio, che i soggetti che rientrano in Italia dopo essere stati in distacco all’estero non possono fruire del beneficio, in considerazione della situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia. Con la successiva risoluzione n. 76/E del 5 ottobre 2018 si è però poi precisato che tale posizione restrittiva, finalizzata a evitare un uso strumentale del beneficio in commento, non in linea con la vis attrattiva della norma, non preclude tuttavia la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della predetta disciplina agevolativa. Tra queste ipotesi, viene citata espressamente la circostanza per cui “il rientro in Italia del dipendente non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia, in quanto il dipendente al rientro assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione delle maggiori competenze ed esperienze professionali maturate all’estero”. Infine, nella Circolare n. 28/E del 2020, l’Agenzia ha puntualizzato che “non spetta il beneficio fiscale in esame nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro”.

Tale visione dell’Agenzia sembra coerente con gli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano al momento dell’introduzione della norma in oggetto. Tuttavia, nell’ultimo periodo si è invece assistito a un “ammorbidimento”, per così dire, della posizione dell’Agenzia stessa sul tema delle diverse tipologie di rapporto di lavoro rilevanti per fruire dell’agevolazione.

In primo luogo, nella risposta a interpello n. 596 del 16 settembre 2021 (già oggetto di commento in seno a questo Osservatorio – cfr.Novità di prassi sul Regime Impatriati”), l’Agenzia afferma che il Regime Impatriati è fruibile anche dai soggetti che si trasferiscono da un Paese estero in Italia per ivi svolgere attività lavorativa in regime di smart working. E ciò perfino in continuità del precedente rapporto di lavoro.

La fattispecie riguardava il caso di un cittadino italiano, residente all’estero dal 2013 e iscritto dal 2019 all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (“AIRE”), che lavorava dal 2016 alle dipendenze di una società statunitense. Lo stesso intendeva trasferirsi in Italia con il proprio nucleo familiare per continuare a svolgere l’attività lavorativa alle dipendenze della medesima società in modalità smart working.

L’Agenzia, richiamandosi al paragrafo 7.5 della Circolare n. 33/E del 2020, sostiene che “[l]’articolo 16, come modificato dall’articolo 5, comma 1, del decreto legge n. 34 del 2019, non richiede che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato” e che, dunque, “possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti)”.

A simili conclusioni l’Amministrazione finanziaria perviene nelle recenti risposte a interpello nn. 3, 32, e 55 del mese di gennaio 2022.

Nella risposta a interpello n. 3 del 7 gennaio 2022 (anch’essa già oggetto di un precedente commento all’interno di questo Osservatorio – cfr. Regime Impatriati: ai fini della decorrenza del beneficio per i lavoratori rientranti dalla Svizzera a nulla rileva la clausola convenzionale di split year”), l’istante, cittadina italiana trasferitasi in Italia dalla Svizzera, rappresentava che dal suo rientro stava lavorando in smart working per il medesimo datore di lavoro svizzero. Nell’istanza, inoltre, al fine di far emergere una sorta di “discontinuità” rispetto alla precedente posizione ricoperta dalla stessa in azienda, la contribuente ci tiene a precisare che “la scelta di tornare a vivere in Italia è stata dettata dalle nuove esigenze del datore di lavoro svizzero, che le ha assegnato come nuova mansione quella di coordinarsi con alcune strutture ubicate sul territorio italiano”. Tale ultima considerazione non viene in alcun modo valorizzata dall’Agenzia, la quale nella risposta si limita ad affermare che “laddove risultino soddisfatti tutti i requisiti richiesti dalla norma in esame, non oggetto di verifica in sede di interpello, si ritiene che l'Istante potrà beneficiare dell'agevolazione fiscale di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 147 del 2015 - come modificato dall'articolo 5 del decreto legge n. 34 del 2019, convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, e successive modificazioni e integrazioni - per i redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia”. Di conseguenza, sembra non emergere alcuna esigenza di verifica, da parte dell’Amministrazione finanziaria, circa l’effettiva e reale portata dell’integrazione nel tessuto economico e sociale del nostro Paese da parte del soggetto che si trasferisce per ivi prestare la propria attività lavorativa.

La risposta a interpello n. 32 del 19 gennaio 2022 sembra offrire, poi, un’ulteriore e maggiore apertura ai contribuenti che vogliono rientrare in Italia beneficiando del Regime Impatriati. Viene, difatti, ammessa la fruizione dell’agevolazione in commento anche con riferimento a una persona rientrata in Italia alle dipendenze di un datore di lavoro italiano con cui aveva già intrattenuto in precedenza dall'estero, da remoto, rapporti di collaborazione, seppur di natura diversa. Pure in tal caso la risposta si limita a specificare che l'agevolazione compete anche nell’ipotesi, come quella oggetto dell’istanza, in cui la contribuente abbia intrattenuto in precedenza (dal 2014) un rapporto di collaborazione professionale con alcune società italiane, tra cui rientra, per l’appunto, quella di cui è divenuta dipendente nel 2021. E perfino in tale occasione si deve evidenziare nella risposta la mancata valorizzazione, da parte dell’Agenzia, della circostanza (pur sottolineata dalla contribuente nell’istanza di interpello, al fine di avvalorare la propria tesi) per cui l'attività lavorativa prestata al rientro sia di natura profondamente diversa rispetto a quella prestata in precedenza (anche verso lo stesso datore di lavoro).

Da ultimo, con la risposta a interpello n. 55 del 31 gennaio 2022, l’Agenzia conferma e ribadisce la facoltà di accedere al Regime Impatriati per un lavoratore dipendente che, trasferitosi in Italia, mantiene il medesimo rapporto di lavoro con la società estera, svolgendo la propria prestazione lavorativa in smart working dall'Italia.

Non vi è dubbio che questa nuova e differente posizione dell’Agenzia, marcatamente pro-contribuente, possa avere l’effetto di attrarre una platea maggiormente ampia di soggetti, cittadini italiani emigrati all’estero. Tuttavia, l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria nei citati documenti di prassi sembra curiosamente discostarsi dalla ratio della disposizione di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015. Infatti, se, come accennato, l’obiettivo che la norma intende perseguire è quello di consentire la crescita delle imprese italiane e il contemporaneo rientro in Italia di soggetti forieri di nuove competenze e conoscenze, il fatto di consentire ai contribuenti di fruire dell’agevolazione, trasferendo semplicemente la propria residenza in Italia (rispettando le ulteriori condizioni previste dalla disposizione in esame), sembra tradire le suddette finalità.

In conclusione, l’Agenzia pare sostituirsi al legislatore, facilitando il proliferarsi di situazioni nelle quali lo stesso contribuente potrebbe non determinare alcun impatto diretto all’economia del nostro Paese, accettando che tale impatto si produca solo indirettamente, e nel tempo.

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