La fiscalità del collezionista d’arte: prime considerazioni

7 Aprile 2021

Il collezionista di opere d’arte deve confrontarsi con questioni di carattere fiscale in ogni fase del collezionismo, dalla fase di acquisto, o di “accumulo”, alla fase (eventuale) di valorizzazione dell’opera d’arte sino alla fase di trasmissione (che si può estrinsecare o sotto forma di cessione delle opere d’arte, oppure sotto forma di donazione o in ambito successorio).

In questo contributo ci concentreremo su alcuni risvolti fiscali preliminari relativi alle operazioni di acquisto e cessione di opere d’arte.

Partendo, dunque, dalle problematiche che possono sorgere in capo ai collezionisti nella fase di acquisto, è bene innanzitutto sottolineare che gli stessi, in genere, acquistano le opere:

  1. all’interno di una galleria d’arte;
  2. all’asta;
  3. direttamente dall’artista;
  4. da un soggetto privato.

Esaminando, nello specifico, gli acquisti effettuati in Italia (e tralasciando volutamente, quindi, gli aspetti doganali della circolazione delle opere artistiche), è opportuno fin da subito evidenziare che il collezionista di solito acquista o in galleria, o all’asta.

Nel primo caso, la compravendita in galleria può avvenire con l’applicazione del regime ordinario IVA oppure del diverso regime speciale c.d. “del margine”.

Il regime del margine è un regime opzionale che opera a condizione che nella catena di trasferimenti aventi a oggetto il medesimo bene, quest’ultimo sia stato acquistato da un soggetto che non ha potuto detrarre l’IVA assolta.

Lo scopo di tale regime è quello di evitare fenomeni di doppia o reiterata imposizione per beni che, dopo la prima uscita dal circuito commerciale – per l’acquisto da parte di un soggetto privato o comunque un soggetto passivo IVA che non abbia potuto detrarre l’imposta per effetto di limitazioni alla detrazione – venga trasferito a un soggetto passivo dell’imposta medesima per la successiva rivendita, con conseguente ulteriore imposizione ai fini IVA in relazione al prezzo di vendita da questi praticato. Alla luce di ciò, dunque, l’IVA viene applicata al solo utile lordo derivante dall’operazione dell’intermediario (ovverosia, l’IVA si applica solo alla differenza, o margine appunto, tra il prezzo di vendita dovuto dal cessionario dell’opera e il prezzo relativo all’acquisto).

Anche le compravendite di oggetti d’arte effettuate tramite le agenzie di vendita all’asta sono soggette al regime del margine.

In tale fattispecie, l’IVA è dovuta sulla differenza tra il corrispettivo pagato all’aggiudicatario – pari al prezzo di aggiudicazione dell’opera incrementato della commissione d’acquisto – e l’importo che l’organizzatore dell’asta corrisponde al committente.

Inoltre, il collezionista può acquistare direttamente l’opera dall’artista. La cessione degli oggetti d’arte indicati nella lettera a della Tabella allegata al D.L. n. 41/1995 (ovvero i quadri, da parte dell’artista, dei suoi eredi o legatari) è invece soggetta all’aliquota ridotta del 10%. Occorre aggiungere, tuttavia, che questa modalità di acquisto è scarsamente praticata, dato che difficilmente gli artisti non si avvalgono di gallerie d’arte che fungono da intermediari professionali per la vendita delle proprie opere. Le gallerie in genere stipulano con gli artisti contratti di mandato, con o senza rappresentanza.

Infine, nel caso in cui l’opera venga acquistata da un soggetto privato, l’IVA non è dovuta.

Quando invece si tratta di IVA pagata dal collezionista professionista (o in regime di impresa), occorre sottolineare che il diritto alla detrazione dell’IVA per i soggetti che svolgono attività di impresa, o arti e professioni, è possibile se l’imposta è addebitata in via di rivalsa dal cedente in relazione a beni o servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione e funzionali all’effettuazione di operazioni soggette a IVA.

Ne deriva che nella fattispecie delle c.d. corporate art collections, nel caso in cui le opere siano “strumentali per destinazione” (per esempio, arredi di pregio dell’impresa), l’IVA è detraibile; viceversa, nel caso delle c.d. corporate art collections c.d. “patrimonio” (quando cioè le opere d’arte non rappresentano beni strumentali per l’attività di impresa), l’IVA non appare detraibile, in quanto l’acquisto dell’opera non è prospetticamente finalizzato al compimento di ulteriori operazioni soggette a IVA.

Anche nel caso di opere d’arte acquistate dai professionisti, l’IVA non è detraibile, in quanto, per presunzione legale assoluta, per i professionisti le opere d’arte costituiscono spese di rappresentanza e l’IVA relativa a tali spese è oggettivamente indetraibile, ai sensi dell’art. 19-bis, comma 1 D.P.R. n. 633/1972.

Con riferimento, invece, alla vendita, l’imposta che assume rilievo è quella sui redditi.

In questo caso, occorre distinguere i soggetti cedenti in tre categorie:

  • il collezionista privato;
  • il mercante d’arte;
  • lo speculatore occasionale.

Con riferimento ai primi si delinea quella che viene usualmente definita attività di collezionismo puro che, seppur estrinsecandosi in una pluralità di operazioni di acquisto e di vendita di opere d’arte, non genera reddito imponibile ai fini delle imposte dirette. In tali circostanze, difatti, il soggetto acquista le opere soltanto con il fine ultimo di godere delle stesse, ragione per cui appare chiaro che, al momento dell’acquisto del bene, egli non abbia già in mente di effettuare una futura rivendita. A tale conclusione, peraltro, si può pervenire verificando l’assenza di qualsivoglia attività preparatoria finalizzata alla dismissione dell’opera. Qualora si verifichino, difatti, le cessioni risultano essere sempre isolate e non caratterizzate dal requisito dell’abitualità.

Viceversa, i soggetti che si qualificano come mercanti d’arte in genere realizzano, al momento della cessione di un’opera, una plusvalenza tassabile ai sensi dell’art. 55 TUIR. Questi ultimi, infatti, esercitano un’attività di intermediazione nelle operazioni di compravendita dei beni artistici, cercando di rivendere sul mercato le opere acquistate ad un prezzo maggiorato per trarne un profitto. A ben vedere, questo tipo di attività presenta tutte le caratteristiche richieste dalla legge per essere qualificato come attività di impresa, dal momento che viene svolto in maniera abituale e continuativa e ha un’apprezzabile rilevanza economica, oltre che una complessità e onerosità gestionale.

Tra le due figure si inserisce quella dello speculatore occasionale, per tale intendendosi quella persona – fisica o giuridica – che, se da un lato acquista le opere d’arte spinto dall’animus lucrandi, dall’altro lato effettua atti di rivendita delle opere soltanto in maniera occasionale (e, quindi, non abituale). Così facendo, il reddito che detto speculatore occasionale produce non può che configurarsi quale reddito diverso ex art. 67, lett. i) del TUIR.

Da ciò si desume che i proventi ottenuti dalle operazioni di compravendita di beni artistici assumono una diversa qualificazione a seconda della categoria dei soggetti che li realizza. Pertanto, ai fini della tassazione del reddito prodotto, assume un’importanza decisiva la corretta qualificazione soggettiva di colui che pone in essere l’operazione.

Per fare ciò, occorre analizzare diversi elementi, tra cui l’intenzione del soggetto acquirente, le ragioni della successiva vendita e l’arco temporale che intercorre tra le operazioni di acquisto e di successiva rivendita del bene. Se, infatti, un soggetto rivende l’opera d’arte subito dopo averla acquistata, è difficile poter pensare che lo stesso non sia animato da esclusivi (o prevalenti) intenti speculativi.

Sul punto, occorre rilevare che sia la giurisprudenza di legittimità, sia quella di merito abbiano enucleato una nutrita serie di indicatori, c.d. “di commercialità”, sulla base dei quali è possibile associare caso per caso e in maniera induttiva l’atto di vendita dell’opera d’arte alla figura del mercante d’arte o a quella del collezionista privato.

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