Bene culturale giuridicamente proteggibile

24 Febbraio 2021

La nozione di “bene culturale” la si ricava dagli artt. 2, comma 2, 10 e 11 del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42; di seguito “Codice”). Ai sensi della prima disposizione “sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” (art. 2, comma 2).

In campo legislativo la locuzione “bene culturale” si fa risalire alla Convenzione UNESCO per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto, firmata a L’Aia nel 1954.

In Italia compare per la prima volta in seno alla Commissione Franceschini (“Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose d’interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio”), istituita nel 1964 a seguito del dibattito che si era creato nel quindicennio successivo all’adozione della Carta Costituzionale e in particolare dell’art. 9, che assegna alla Repubblica “la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione”.

I lavori della Commissione Franceschini, durati tre anni, sfociarono in 57 Dichiarazioni. La Dichiarazione I, che è alla base della attuale nozione legislativa di bene culturale (v. art. 2 comma 2 di cui abbiamo detto), afferma che “appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà”.

Uno dei meriti e dei lasciti più importanti della Commissione Franceschini riguarda proprio la definizione di bene culturale di cui viene data una nozione aperta, che “opera mediante il rinvio a discipline non giuridiche” (così M.S. Giannini, I beni culturali) e che, a differenza di quella presente nella legislazione allora in vigore (cfr. l. n. 1089/1939), non fa più riferimento a elenchi di beni da proteggere.

Se fino alla legislazione del 1939 si faceva riferimento a un criterio meramente estetico dei beni culturali, dal momento che la tutela era riconosciuta solo a quei beni che avessero avuto “particolare pregio o rarità” o fossero di “non comune bellezza” (ciò per quanto riguarda i beni paesaggistici di cui alla legge 1497/1939), la Commissione Franceschini introdusse un criterio storicistico, poiché “chi si cali nella realtà storica può rendersi conto di come ogni età abbia avuto proprie concezioni dei beni culturali” (cfr. ancora M.S. Giannini, I beni culturali).

Se il termine “beni culturali” diventa ufficiale con l’istituzione nel 1974 del Ministero per i Beni culturali e ambientali, la definizione legislativa compare per la prima volta nell’art. 148 (oggi abrogato) del d.lgs. 112/1998 (attuativo della Legge Bassanini sul decentramento amministrativo), definizione che riprende la Dichiarazione I e fa riferimento ai beni “che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà”.

Nonostante il Codice abbia in parte accolto la nozione forgiata dalla Commissione Franceschini, secondo cui è bene culturale ogni “testimonianza avente valore di civiltà”, da un punto di vista giuridico questa definizione “risulta insufficiente”, dal momento che questa nozione “richiede anche una previa qualificazione da parte del legislatore”. Infatti, “una qualsivoglia testimonianza avente valore di civiltà diventa bene culturale in senso giuridico solo se tale è considerabile sulla base di una qualificazione, ossia di una fissazione di fattispecie operata dal legislatore” (così G. Sciullo, in AA.VV., Diritto del patrimonio culturale, Il Mulino, 2017). Dal punto di vista codicistico i beni culturali sono solo quelli indicati dal legislatore agli artt. 10 e 11 del Codice, sicché uno dei tratti di questa nozione è quello della tipicità.

Altra caratteristica che presentano i beni culturali è quella della materialità. Il Codice fa infatti sempre riferimento a “cose”, siano esse mobili o immobili, dunque entità quae tangi possunt. Ciò non significa che i beni culturali immateriali non siano tutelati del nostro ordinamento giuridico, dal momento che l’Italia ha ratificato le Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003 e del 2005. Questi beni sono tuttavia assoggettai alla disciplina codicistica solo qualora “siano rappresentate da testimonianze materiali” (art. 7-bis Codice).

Secondo la migliore dottrina, inoltre, ogni bene culturale, anche di proprietà di soggetti privati, è un bene pubblico, “non in quanto di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione” (M.S. Giannini, I beni culturali). Secondo questa teoria, il bene culturale non sembra avere un proprietario in senso proprio, “poiché il godimento lo ha l’universo dei fruitori del medesimo”, dal momento che i beni culturali assolvono a una “funzione sociale”: ed è per questo motivo che il diritto di proprietà può essere limitato.

Così, ad esempio, possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico i beni culturali immobili di “interesse eccezionale” e le collezioni d’arte (art. 104 Codice).

Come abbiamo accennato, l’elenco dei beni culturali è contenuto negli artt. 10 e 11 del Codice: il primo riguarda le categorie generali, ossia le cose che risultano assoggettate a tutte le disposizioni del Codice relative alla tutela dei beni, mentre il secondo si riferisce alle categorie speciali, ossia a cose che sono considerate beni culturali solo ai fini di determinate disposizioni codicistiche.

L’elenco dei beni, che distingue sostanzialmente i beni a seconda del regime di appartenenza, pubblica o privata, è estremamente lungo e dettagliato e non è questa la sede per analizzarlo.

Ricordiamo solo che sono escluse dalla tutela codicistica le cose che “siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre settanta anni” (art. 10, comma 5), esclusione dovuta all’esigenza di non ostacolare il commercio delle opere d’arte contemporanea.

 

 

 

 

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