Quando si parla di “fondazioni culturali” si pensa di solito a un tipo generale di fondazione che si occupa di cultura. Dal punto di vista giuridico, si tratta in realtà di un tipo di fondazione previsto specificatamente dalla legge. La prima normativa che si è occupata della materia è stato il decreto che ha istituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. Lgs. 368/1998; “MIBACT” o “Ministero”), che si occupava, all’art. 10, appunto di disciplinare le forme attraverso cui il MIBACT poteva gestire i propri beni, stabilendo in particolare che esso avrebbe potuto “stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e con soggetti privati” e “costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società”. La norma è stata abrogata, e oggi la disciplina è contenuta per lo più nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 42/2004) agli artt. 112 (“Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica”) e 115 (“Forme di gestione”). Tramite una articolata costruzione normativa, il Codice prevede la possibilità di creare fondazioni miste pubblico/private per la gestione dei beni culturali di proprietà pubblica, il tutto nell’ottica di una loro più proficua valorizzazione. Ricordiamo che si intendono per “beni culturali”, ai sensi del Codice, quei beni che presentano un “interesse culturale”, che può essere “artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico” e che la valorizzazione consiste “consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. … La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale” (art. 6). Come dicevamo, la funzione principale di questo tipo di fondazione è dunque principalmente quella di gestire e valorizzare i beni culturali di proprietà pubblica. Ciò avviene tramite la costituzione di un partenariato tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e, in generale, gli enti pubblici che detengono i beni culturali, e i soggetti privati, in grado, con le loro risorse finanziarie, di poter meglio svolgere questa funzione. Tipicamente, la fondazione culturale è costruita sul modello della fondazione di partecipazione, fattispecie atipica nata dalla prassi notarile e caratterizzata dalla sintesi dell’elemento patrimoniale, tipico delle fondazioni, e dell’elemento personale, tipico invece delle associazioni (Bellezza-Florian, Le Fondazioni del terzo millennio). Una delle caratteristiche principali è che beni culturali di proprietà pubblica vengono conferiti dall’ente pubblico (tipicamente il MIBACT) in uso nel patrimonio della fondazione e, nel caso di estinzione di questa, essi torneranno nella disponibilità dell’ente. L’ente pubblico fondatore, mediante modalità di evidenza pubblica, seleziona poi i soggetti privati in grado di garantire, soprattutto sotto il profilo finanziario, il raggiungimento dei risultati di gestione stabiliti. I soggetti privati possono intervenire sia come fondatori sia entrare a far parte della fondazione in un momento successivo. Per capire meglio ciò di cui stiamo parlando, prendiamo come esempio il Museo Egizio di Torino, primo caso di collaborazione tra MIBACT e soggetti privati per la gestione a valorizzazione di beni culturali pubblici. Lo statuto della “Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino” indica come fondatori, oltre al Ministero, alla Regione Piemonte e alla Città di Torino, soggetti di diritto privato quali la Compagnia di San Paolo e la Fondazione CRT. Possono partecipare alla Fondazione anche altri soggetti pubblici e privati (art. 1). Il patrimonio indisponibile della Fondazione è costituito dal diritto d’uso sul Museo, inteso come bene museale, che comprende le collezioni, conferito dal MIBACT, mentre gli altri fondatori conferiscono “adeguate risorse finanziarie finalizzate alla costituzione del patrimonio disponibile“. Da segnalare subito che questa forma organizzativa ha funzionato bene, e il Museo è stato definito una vera e propria “miniera d’oro”, in grado di generale in un solo anno di attività circa 190.000 milioni di Euro. Leggendo lo statuto del Museo Egizio emerge come il MIBACT svolga un ruolo pregnante nell’ambito della Fondazione. Non solo, come abbiamo detto, esso conferisce il bene museale e le collezioni nel patrimonio, ma designa il Presidente della Fondazione (art. 6), che viene nominato dal Collegio dei Fondatori, e il presidente del Comitato Scientifico (art. 11). Infine, esso “esercita la vigilanza sulla Fondazione e, in particolare, i poteri di cui agli articoli 13 e 14 del decreto ministeriale 27 novembre 2001, n. 491” (art. 14). Questo decreto (“Regolamento recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a fondazioni da parte del Ministero per i beni e le attività culturali”) prevede ampi poteri di vigilanza da parte del MIBACT sulle Fondazioni Culturali, che vanno dall’approvazione delle modifiche statutarie, all’adozione di atti di indirizzo aventi ad oggetto, tra l’altro, i criteri e requisiti relativi alla partecipazione di soggetti privati alla fondazione, alla sospensione temporanea degli organi di amministrazione, alla revoca, su indicazione dell’organo di controllo o del comitato scientifico, della concessione d’uso dei beni culturali conferiti, fino allo scioglimento degli organi della fondazione in caso di gravi e ripetute irregolarità nella gestione. Dato questo potere che il Ministero esercita sulle Fondazioni Culturali, ci si chiede se queste possano essere sottoposte alla disciplina del Codice del Terzo Settore (D. Lgs. n. 117/2017) e di iscriversi al Registro Unico del Terzo Settore, che comporta una serie di vantaggi fiscali. Se per “Terzo Settore” devono intendersi “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi” (Legge n. 106/2016), l’art. 4 del Codice del Terzo Settore stabilisce che non rientrano in questa categoria “le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 … nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti”. Il dibattito sul punto è appena stato avviato ed è forse presto per trarre conclusioni, ma possiamo forse già azzardarci a dire che, in un caso come quello del Museo Egizio, pare difficile negare che il MIBACT eserciti un potere di direzione e coordinamento o controllo, anche se il Codice non ne dà una definizione, sicché parrebbe doversi escludere la sua iscrizione al Registro Unico del Terzo Settore. Ci poniamo un’ultima domanda. Qual è il vantaggio che un soggetto privato può trarre dall’entrare a far parte di una Fondazione Culturale? Probabilmente si tratta di un vantaggio analogo a quello che si ricava attraverso la sponsorizzazione: l’associazione del nome e del marchio di un’impresa privata al patrimonio culturale nazionale genera infatti un grande ritorno di immagine, come dimostra il crescente impiego da parte delle imprese del contratto di sponsorizzazione o del c.d. art bonus. Articolo pubblicato su “Collezione da Tiffany” il 29.10.2020