Nell’anno appena trascorso, in cui sono stati celebrati i cinquecento anni dalla morte di Leonardo, le mostre dedicate al genio rinascimentale sono state davvero infinite. Tra le più importanti la retrospettiva al Louvre, dove sono state esposte, oltre alle opere di proprietà del museo, lavori provenienti dai più importanti musei al mondo, come ad esempio il Ritratto di Musico della Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Nel periodo della mostra parigina, la Pinacoteca ha esposto una copia digitalizzata del Ritratto di Musico, che certo non è come l’originale ma che almeno non lascia un “buco” nel percorso espositivo e non crea (eccessiva) delusione nei visitatori. Ma che cosa si intende per opera digitalizzata? La digitalizzazione consiste “nella trasformazione di un suono, di un’immagine, o, più in generale, di un documento in formato digitale (una sequenza di zero e di uno) interpretabile da un computer e, quindi, con possibilità infinite di riproduzione e di circolazione” (S. Lavagnini, La digitalizzazione di opere cartacee e il “Caso Google”, in https://www.dirittodautore.it/dante/la-digitalizzazione-di-opere-cartacee-e-il-caso-google/). Dal punto di vista giuridico, il problema che si pone è quello di individuare il soggetto cui spetta il diritto sull’opera d’arte che si intende sottoporre a processo di digitalizzazione. A questo fine possiamo distinguere tra opere protette tramite Codice dei Beni Culturali (Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 e successive modifiche) e opere protette tramite Legge Autore (Legge n. 633 del 22 aprile 1941 e successive modifiche). In linea generale si possono definire culturali quei beni che presentano un “interesse culturale”, che può essere “artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico”, a esclusione delle opere di autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre settanta anni (la nozione di “bene culturale” la si ricava dagli artt. 2, comma 2, 10 e 11 del Codice dei Beni Culturali). Ai sensi degli artt. 107 e 108 del Codice, la riproduzione dei Beni Culturali di appartenenza pubblica deve essere autorizzata dall’ente che ha in consegna il bene, dietro pagamento di un canone, che andrà corrisposto in via anticipata, tenendo conto di una serie di parametri stabiliti dalla legge. Poiché la digitalizzazione può considerarsi una forma di riproduzione (sul punto vedi infra), se voglio quindi utilizzare l’immagine digitalizzata dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci che si trova presso le Gallerie dell’Accademia a Venezia, dovrò chiedere l’autorizzazione a questa istituzione. Da segnalare che l’autorizzazione va chiesta solo se intendo utilizzare l’immagine a fini commerciali, poiché dal 2014, con il decreto c.d. Art Bonus, è stata liberalizzata la riproduzione dei beni culturali richiesta o eseguita da privati o per motivi di studio e senza scopo di lucro (sul punto cfr. F. Minio, La libera riproducibilità dei beni culturali dopo l’emanazione della legge 4 agosto 2017, n. 124, in Business Jus, 2018). La digitalizzazione può considerarsi una forma di valorizzazione dei beni culturali, che consiste “nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura” (art. 6 Codice dei Beni Culturali): è infatti evidente che i progetti di digitalizzazione dei beni culturali si pongono su questa scia, permettendo una più semplice fruizione dei beni da parte dei cittadini. Si pensi, ad esempio, alle mostre virtuali – in cui non viene esposta l’opera fisica ma un suo sostituto digitale – uno dei format espositivi più utilizzati negli ultimi anni, anche perché consente un notevole risparmio economico (costi di assicurazione e trasporto delle opere). Questo discorso vale ovviamente non solo per i beni protetti dal Codice dei Beni Culturali, ma in generale per tutte le opere d’arte, siano esse protette dalla Legge Autore o cadute in pubblico dominio (cioè quando su di essa siano scaduti i diritti d’autore di utilizzazione economica e sia dunque liberamente usufruibile). La digitalizzazione dei beni culturali è propugnata a livello comunitario da quasi quindici anni. La Commissione Europea ha infatti emanato una prima Raccomandazione nel 2006 (24 agosto) e una seconda nel 2011 (27 ottobre) incoraggiando gli Stati Membri a rivedere il loro sistema normativo in modo tale da favorire i progetti di digitalizzazione e messa in rete del patrimonio culturale. Se a livello europeo la Commissione, nel novembre 2008, ha lanciata la piattaforma Europeana (https://www.europeana.eu/portal/it) in cui si trovano in formato digitale oltre 50 milioni di documenti relativi al patrimonio culturale di circa 3.700 biblioteche, musei, archivi e gallerie di tutta Europa, a livello nazionale dal 2008 è online CulturaItalia (http://culturaweb.inroma.roma.it/opencms/index.jsp?language=it), il portale della cultura italiana promosso dal MIBAC che dà accesso in formato digitale a milioni di libri, dipinti, film, fotografie, provenienti da biblioteche, archivi, musei e altri istituti culturali italiani sia pubblici che privati. Tra le altre realtà nazionali che si occupano della digitalizzazione del patrimonio culturale, segnaliamo l’associazione Save The Artistic Heritage (http://www.savetheartisticheritage.it/), che ha organizzato tra l’altro recentemente la mostra Leonardo da Vinci: Capolavori e Macchine Volanti, a Jeddah in Arabia Saudita, dove sono state esposte tra l’altro La Scapiliata e il Ritratto di Musico, provenienti dalle collezioni del Complesso Monumentale della Pilotta e della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Ciò che è stato esposto, in realtà, sono dei DAW ® – Digital Art Work, riproduzioni digitali in scala 1:1 realizzate con una tecnologia oggetto di un brevetto europeo sviluppata dalla startup Cinello[1], specializzata in innovazione digitale, capace di ricreare in modo perfetto un’opera. Il DAW è un multiplo digitale di un capolavoro della storia dell’arte (dalla Nascita di Venere di Botticelli, alla Pala di Brera di Piero della Francesca, dalla Rissa in Galleria di Boccioni alla Testa di Giovane Donna di Modigliani) che viene prodotto in serie limitata, autenticato, numerato, certificato e protetto tramite crittografia digitale. Vengono fatte due tipi di “tiratura”: una destinata ai prestiti museali, e una alla vendita nel mercato privato. Di quest’ultimo tipo, vengono solitamente creati dai 9 agli 11 esemplari, la vendita dei quali andrà metà all’associazione e metà all’istituzione museale che ha in consegna il bene da cui il DAW è tratto. Partecipano all’iniziativa musei pubblici e privati quali tra glia altri La Pinacoteca di Brera, Le Gallerie dell’Accademia, la Galleria degli Uffizi, la Pinacoteca Ambrosiana. Per quanto riguarda i musei pubblici, ogni DAW verrà creato con il consenso del museo possessore dell’originale, secondo le norme di cui agli articoli 107 e 108 del Codice dei Beni Culturali, di cui abbiamo detto. Si può dire che il DAW sia a sua volta un “originale” digitale, non solo perché l’utilizzo di una tecnologia di digitalizzazione così altamente sofisticata potrebbe forse permette di dire che ci troviamo di fronte a un’elaborazione dell’opera (sul punto cfr. infra), ma anche perché la tecnologia stessa rende l’opera assolutamente non riproducibile e ne garantisce l’unicità. E per quanto riguarda in generale le opere protette dal diritto d’autore, come si inserisce il concetto di digitalizzazione? Ai sensi dell’art. 13 della Legge Autore, il diritto di riproduzione, vale a dire “il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione”, appartiene all’autore dell’opera. Anche se la norma non indica espressamente la digitalizzazione tra le forme di riproduzione, non si dubita che essa lo sia (G. Guglielmetti, Riproduzione e riproduzione temporanea, in Annali italiani diritto d’autore, 2002, 3) e che dunque ogniqualvolta io voglia trasformare un’opera in mio possesso (ad esempio una fotografia) dal suo originario formato a quello digitale, dovrò premunirmi di chiedere l’autorizzazione al suo autore o al soggetto che detiene i diritti d’autore. Ci si è chiesti se la digitalizzazione comporti una forma di elaborazione dell’opera. In linea di massima, si può dire che l’attività di trasformazione di un’opera in formato digitale sia un’attività meramente meccanica e non creativa, almeno nei casi in cui “la digitalizzazione sia diretta soltanto a consentire, mediante appositi strumenti, la fruizione dei materiali nella loro forma originaria” (cfr. ancora G. Guglielmetti, Riproduzione e riproduzione temporanea, cit.). Altri autori si sono tuttavia domandati “se e in quali casi un’attività di digitalizzazione possa effettivamente costituire un’elaborazione personale da parte del suo autore” affermando che “non si può escludere a priori che l’opera digitalizzata possa essere di per sé oggetto di protezione tramite diritto d’autore” (M. L. Montagnali e L. Zoboli, Sistemi di Digital Rights Management e protezione die contenuti culturali, in Il Diritto dell’Arte, a cura di G. Negri-Clementi e S. Stabile, vol. 3, Skira, 2014). La risposta dipenderà dal grado di creatività inerente il processo di digitalizzazione: è possibile, ad esempio, che l’attività posta in essere dal progetto Save the Artistic Heritage dia vita a una elaborazione di carattere creativo ai sensi dell’art. 4 della Legge Autore, per le quali vi sarà comunque bisogno del consenso dell’autore dell’opera originaria che è stata digitalizzata, posto che in linea di massima è da escludere che l’elaborazione posta in essere dalla digitalizzazione sia così creativa da poter dar vita a un’opera a sua volta originaria. Da ricordare infine la nuova Direttiva UE 2019/790[2] sul diritto d’autore nel mercato unico digitale che, in particolare, all’art. 5 prevede eccezioni e limitazioni per l’utilizzo digitale di opere per finalità illustrativa a uso didattico. Articolo pubblicato su "Artribune" il 09.01.2020